20 novembre 2010

Giovanni Choukhadarian per Satisfiction

Quello che stupisce, nei libri di Elisabetta Bucciarelli, è l'intonazione perfetta, la dizione impeccabile. Mai una volta che sbagli una nota; e che fraseggio, che dizione, quanti timbri e colorature. In Ti voglio credere torna in scena Maria Dolores Vergani, l'ispettore di polizia giudiziaria bella e tormentosa già conosciuta nel precedente Io ti perdono. Vergani, 1,75 su meno di 50 chili, è agli arresti domiciliari, indagata per omicidio volontario. Attorno a lei, il mondo si rappresenta in tutto il suo orrore: giovani che dimagrano fino a morire in cerca dell'assoluto, grandi croci che compaiono in una Milano mai così tetra, la volenterosa carriera di un poliziotto che, collega di Maria Dolores Vergani, è legato a lei da una stima che confina con l'ossessione. Come non bastasse, l'avvocato di lei, che si muove con i modi e i tratti di un pubblico ministero. In questo bailamme, Bucciarelli si orienta con disinvoltura. Usa periodi brevi, frasi corte, punteggiatura rigorosa – una lingua che sembra imitare il corpo di Vergani e, a volte, quelli macilenti delle giovani anoressiche (il corpo e il corpo-testo, felici ossessioni della scrittrice!). Meno male che Bucciarelli c'è, veramente. Se la fabbrica del romanzo italiano offre Nicola Lagioia, Antonio Scurati o Andrea Vitali (i nomi sono scelti a caso), viva una che preferisce sottrarre, alludere invece di asserire. Alludere non significa evitare discorsi importanti, temi in apparenza poco romanzeschi: la verità, il perdono, le relazioni di forza in una coppia. C'è tutto questo, nel libro di Vergani, e c'è sia dal punto di vista di una donna, sia da quello di un uomo: perché Bucciarelli conosce le persone, ne è curiosa e ha una sensibilità piuttosto sviluppata (è solo per buona educazione che non la si chiama feroce). Corsari e Funi, colleghi dell'ispettore Vergani, sono infatti uomini riconoscibili, e Bucciarelli ne racconta passioni errori sgarbi con autentica pietà, con desiderio di comprensione.
Alla fine, il giudizio è sospeso. Elisabetta Bucciarelli, e con lei Maria Dolores Vergani, non hanno verità da regalare. La narrativa ha senso se crea problemi, se interpella su questioni non transitorie, se persegue un'etica. I libri di Bucciarelli, e questo forse più di altri, sono scritti così.
Giovanni Choukhadarian