29 novembre 2010

Thriller café


In questo Ti voglio credere, protagonista principale è la Verità, agognata da un’ispettrice Vergani senza certezze, confinata nella sua casa e in una dimensione interiore rinchiusa tra pareti di dubbi. Una Verità che non sia comoda, che non sia mezza, che non sia vantaggiosa. Che sia piuttosto liberatoria per l’animo, anche dovesse portare alla reclusione del corpo. E accanto a questo tema incomporeo ma dalle forme gravose, quello al contrario corporeo e al contempo diafano dell’anoressia, spettro tangibile creato da una società adorante simulacri di preoccupante vacuità.
Il tutto, vissuto dalla solita Maria Dolores Vergani, sempre più accesa di carica costruttiva, ma in cui mi è parso di cogliere una maggiore e sotteranea spinta auto-distruttiva, e un evoluto Achille Maria Funi, che da spalla che sta sempre un passo indietro alla sua mentore, adesso è diventato se non co-protagonista sicuramente personaggio più tridimensionale, presenza effettiva, che si nota, che vive.
Aggiungeteci la cifra stilistica della Bucciarelli, sempre icastica nelle parole mai usate a sproposito, misurata, che lavora per sottrazione più che per aggiunta, e capirete perché questo romanzo alla critica sia piaciuto tanto.
E se non vi è evidente, chiarisco: è piaciuto tanto anche a Giuseppe Pastore e al Thriller Café.



Inizia e finisce QUI.